La mia è la storia delle 55mila donne a cui ogni anno viene diagnosticato un tumore al seno. Era l’estate 2024. La gioia di un viaggio in Uzbekistan. Il ritorno a casa. Uno screening di routine. «Ha un tumore maligno», dice il medico. Il baratro. Parole che ti colpiscono, non arrivano solo al cervello, è come se penetrassero ovunque attraverso l’epidermide. Questo tumore intossica il mio corpo e la mia mente. Ho sempre pensato di avere una salute di ferro, e invece sono malata, e non una malattia lieve.
Ho sempre pensato di essere immune al dolore, e invece ora la sofferenza è impossibile da contenere. «Adesso che si fa?» Mastectomia. L’ho affrontata a testa alta. «Se si deve togliere qualcosa che fa male, che si tolga il prima possibile». E così è stato. È andata bene. Non ho subito né chemio, né radio. Ma, dopo tanta “leggerezza”, è arrivato il contraccolpo emotivo. Si presenta con mille domande sul futuro. Sono una giornalista freelance, più di ogni altra cosa temo di non poter riprendere appieno il mio lavoro. Un lavoro che mi ha portato nelle aree di conflitto dell’Africa sub-sahariana e del Medio Oriente. Come potevo non chiedermi se riuscirò ancora ad affrontare viaggi così impegnativi. Quest’ansia mi impediva il sonno. Per placare questo turbinio di pensieri, mi sono rifugiata in quello che so fare meglio, scrivere. Ma stavolta niente articoli, niente libri. Una penna, un foglio bianco, ogni tanto appallottolato e lanciato nel cestino, senza un’idea precisa. Ho iniziato a raccontare la mia vicenda, con i suoi alti e i suoi bassi, con le tristezze e le risalite, senza fare sconti a me stessa.
Una cronaca, che si dipana dal momento della scoperta della malattia alla fine della convalescenza. Nato per caso, questo scritto è diventato una pièce teatrale. Esordiremo venerdì 9 maggio alle 21, al Teatro di Rapolano Terme (Siena), ospiti della locale Pia Confraternita Misericordia. A dare voce alle mie parole sarà la bravissima attrice Silvia Budri. L’accompagneranno le note dell’arpa celtica di Elisa Malatesti, il cui nome d’arte VoceDAnimA la dice lunga sulla sua modalità di espressione, e le foto scattate dalla fotografa appassionata Beatrice Mancini. E io? Io “Sono (ancora) viva” (titolo della pièce teatrale) e questo basta. Quattro donne diverse, per carattere e competenze, insieme per un progetto artistico di alto valore sociale. Vi aspettiamo.
Per info: gobboromina71@gmail.com
Scrivi un commento